Artículos italiano

IL “CORAGGIO DI DIDONE” NEL GIORNALISMO DI ADELE CAMBRIA

Alessandra Trevisan
Università Ca' Foscari Venezia, Italia

REVISTA INTERNACIONAL DE CULTURAS Y LITERATURAS

Universidad de Sevilla, España

ISSN: 1885-3625

Periodicity: Anual

no. 22, 2019

marriaga@us.es



DOI: https://doi.org/10.12795/ricl.v0i22.8973

Sommario: L’esperienza di scrittura di Adele Cambriasi è legata al femminismo italiano a partire dalla partecipazione al gruppo romano di Rivolta femminile nel 1970. Dopo Didone uscì nel 1973, anno in cui dirigeva EFFE; farà parte della redazione di Quotidiano donna (1981) e quindi di Minerva: l’altra metà ell’informazione (dal 1986) e Noi Donne (anni ’80-’90). Questo contributo intende evidenziare la pienezza del suo pensiero nel segno di un giornalismo d’impegno.

Parole: Femminismo, riviste femministe, maternità, aborto.

Abstract: Adele Cambria’s experience of writing was connected to Italian Feminist Movement thanks to her participation to Rivolta femminile in 1970. Dopo Didone was published in 1973, while she was EFFE’s editor; then she took part in the editorial board of Quotidiano donna (1981) and later in that of Minerva: l’altra metà dell’informazione (from 1986) and Noi Donne (’80s and ’90s). This contribution aims to highlight the fullness of her thought in her dedicated work.

Keywords: Feminism, feminist reviews, motherhood, abortion.

E le donne? Siamo state, in questi ultimi vent’anni, le protagoniste dell’unica rivoluzione, e per di più non violenta, che abbia mai avuto il nostro paese. Continueremo a ragionarci sopra, come abbiamo sempre fatto […] utopiste forse, crocerossine mai, responsabili sempre (Cambria, 1993).

È un affondo quello che Adele Cambria compie con la sua scrittura, dopo il periodo di Tangentopoli, in un momento grave per tutta la politica italiana definito allora “effetto valanga” (come il terrorismo degli anni di piombo), un passaggio critico anche per il Partito Radicale che lei aveva sostenuto lungo diversi anni. È in un articolo per Noi Donne che emergono le sue perplessità sul rapporto donne-potere, che sarà un campo aperto per accendere il dibattito culturale tra anni ottanta e novanta. Qualche tempo prima, il 6 febbraio del 1992, così si era espressa su l’Unità: «Alle istituzioni non ho mai creduto. Il solito dilemma: acchiappare metà della torta oppure cambiarle sapore?». Ed è nel segno di un dovere fuori dagli istituti del potere che, infatti, il femminismo ha cambiato il corso della (sua) storia: lo conferma la lucida e dissidente espressione a conclusione dell’articolo del ’93.

Cambria fu una figura del giornalismo e della letteratura calata nell’impegno del proprio tempo, occupata a far sentire la voce delle donne, a fare della soggettività un simbolo della pluralità.

Sebbene articolato – e incompleto, per forza di cose – non è difficile tracciare un percorso fertile all’interno della sua vicenda professionale focalizzandosi maggiormente sui movimenti legati al femminismo, di cui lei fu di certo una creatrice di fonti. Storicizzarne una parte secondo una cronologia significa ricostruire un ritratto e uno spaccato del secondo Novecento.

Si consideri che, come ha anche indicato Elisabetta Viti nell’Enciclopedia delle donne online, negli anni cinquanta e sessanta Cambria passò attraverso collaborazioni contestate che le richiesero un impegno di cronaca e legato al costume; lei lo assunse sempre cercando di strutturare uno stile che fosse peculiare e autentico, sulla scorta dell’insegnamento che aveva potuto trarre da Camilla Cederna, sua dichiarata mentore. L’approccio adottato su Il Borghese di Longanesi (nel 1955), su Il Mondo di Pannunzio (1956-1966) e su La Stampa sostituendo Alba de Céspedes (1962-1965) fu determinato da un’impronta che tentava di svincolarsi dalla cronaca mondana femminile da “telefoni bianchi”, cui l’Italia era stata abituata durante il ventennio fascista. La preferenza rivolta al professionismo, il passaggio a Milano prima e poi a Roma (dopo una laureain Giurisprudenza) allontanarono da lei un’infanzia e un’adolescenza calabrese in una famiglia borghese che aveva oppresso la sua condizione di donna. Si trattava di una scelta che assumeva forme di slancio, soprattutto nella dimensione di un’emancipazione riuscita dai primi anni sessanta in avanti (attorno ai trent’anni; era nata nel 1931), periodo in cui l’incrinatura del suo matrimonio stava dando luogo a una separazione coniugale, e in cui la resistenza all’interno delle redazioni come madre di due figli che desiderava mantenersi da sola diventa simbolica di una svolta del soggetto-donna: «peresempio il fatto di guadagnarmi da vivere ogni giorno per assicurarmi, come donna, l’autonomia intellettuale» (Cambria, 1976: 59), precetto che proveniva dai testi di Simone De Beauvoir. Quella rivendicazione le stava rivelando la scoperta precoce di una coscienza di genere. Solo pochi anni prima, tuttavia, il suo intervento nei Comizid’amore di Pasolini (film uscito nel 1964) la fotografava dentro l’elaborazione di un pensiero ancora incompiuto; infatti alla domanda “Secondo lei c’è una parità sessualetra l’uomo e la donna?” rispondeva: «Non c’è ancora perché nemmeno la donna ha il coraggio di pretenderla; ha paura di perdere alcuni vantaggi tipicamente borghesi. Per esempio in Italia ancora il concetto della ragazza madre è una colpa gravissima a meno che non sia riscattata dalla popolarità […] nel sud per i contadini, che non posseggono niente, l’onore della donna è la ricchezza».1

Lungo questo percorso si attraverserà una parte del lavoro intellettuale di Cambria sulla scorta di alcuni temi cruciali; soprattutto la maternità e il femminismo saranno al centro del discorso, e quest’ultimo come snodo fondamentale per un cambiamento vitale anche nell’ambito del mestiere di giornalista.

Alcuni tratti la presentano in questi termini: «L’autobiografia come un lungo flashback. Che racconti una vita, una passione – la scrittura, ma al principio fu soprattutto l’adrenalina della notizia, del fatto a cui ti mescoli… “Io non conoscevo nessuno, non appartenevo a nessuno, avevo soltanto voglia di aggredire le cose, sventrare e dirle,scriverle, anzi”» (Cambria, 2009: 10; Cambria, 1976: 54). Nella sua biografia da lei stessa narrata in Nove dimissioni e mezzo come nel volume collettaneo La parola elettorale (1976), si riconosce la frattura e l’apertura insieme ad un momento nuovo: non il sessantotto, vissuto con disinteresse, ma il 1970 che segnò l’avvicinamento per passaparola di Dacia Maraini al collettivo di Rivolta femminile nella primavera (con Carla Lonzi, Carla Accardi ed Elvira Banotti), cui seguì nell’estate il ritorno a Reggio Calabria (città che le diede i natali) per documentare e commentare i famosi Fatti di Reggio,2 che porteranno alla conoscenza di Adriano Sofri e all’avvicinamento al giornale Lotta Continua – di cuisarà anche direttrice a processo nel 1972, a seguito dell’omicidio Calabresi.

È di quegli anni vicini la dichiarazione: «Io uscivo dall’isolamento di una guerra individualistica stremante, dove tutte le vittorie, puntuali, stavano sopra di me, controdi me, come boomerangs, e potevo cominciare ad esprimere la mia principale, comedi tutte, oppressione e ferita e piaga: la condizione femminile» (Cambria, 1976: 53). L’acquisizione di una consapevolezza e il transito (anche “politico”) nel collettivo femminile, alla scoperta delle prime forme di autocoscienza, la fece approdare anche nella redazione di EFFE passando prima per Compagna, rivista cui aderì nel 1971chiamata da Laura Lilli – e che abbandonò presto (Cambria, 2009: 179-183).

Il “gruppo” fu lo spartiacque tra l’appartenenza e il professionismo mal visto anchea EFFE,3 rivista sulla quale oltre a fornire una storia del femminismo statunitense a mezzo inchiesta la nostra si espose con Daniela Colombo sul tema dell’aborto come diritto alla persona e a tutela del materno:

L’aborto non è una festa: l’aborto legale, o, meglio ancora, libero e gratuito che vogliamo,ha un senso, ci sembra, perché: a) diventa il primo passo per la rivalutazione della gioiadi essere madri, una gioia difficile, in un paese come l’Italia, di donne oberatedi figli; b) perché riconosce alla donna, che non l’ha mai avuta, la disponibilità intera e responsabile del proprio corpo, liberandola dal sentimento del peccato— il peccato di avere un corpo — che l’educazione cattolica, sia pure tra morbide complicità, alimenta. Non è una festa: sappiamo che alcune femministe la pensano diversamente, esigiamo che l’aborto diventi per tutte le donne, senza discriminazione –di classe, non più traumatico, come dolore fisico, della estrazione di un dente: esistono oggi tutti i mezzi tecnici per ottenere questo scopo, […] tuttavia, seguitiamo a pensare che difficilmente una donna, per lo meno una donna matura, una donna adulta, possa decidere di farsi asportare l’embrione con leggerezza, tantomeno con un sorriso di trionfo sulle labbra: non crediamo perciò, in modo assoluto, che la lotta per il diritto di aborto esprima il massimo delle aspirazioni femministe, e che esaurisca gli obiettivi del movimento: anche se questa lotta va fatta e, in un paese arretrato, per costume e legislazione, come l’Italia, va fatta subito e con durezza. Recuperare la gioia di essere madri: […] Disponibilità intera e responsabilità del proprio corpo, da parte della donna: l’uomo ha sempre disposto del proprio corpo, la donna no: la proibizione dell’aborto, infatti, ha questo preciso significato di iniquità, di discriminazione tra i sessi. La donna che interrompe volontariamente una gestazione, ficchiamocelo bene in testa, non è un’assassina: è una donna che ha valutato e distinto i motivi per cui entrerebbe in conflitto con questo figlio non desiderato — al limite anche il riconoscimento dì una propria indisponibilità ad essere madre — e che scegliendo di abortire compie un gesto non casuale ma responsabile (Cambria,19732).

Questa posizione specifica si riallacciava a un «rifiuto del femminismo» e al «Riprendiamoci la vita» (Cambria, 1976: 68) che caratterizzano l’esposizione di molte donne dell’epoca, non tutte radicalmente estromesse dal materno: «La lotta per la liberalizzazione dell’aborto, cui pure avevo partecipato […] mi si rovesciava dentro in un bisogno di ideologizzare la maternità in quanto proposta femminista in positivo, riscoprendo la “madre sociale” e cioè puntando sul rapporto donna-bambini come asse dell’unico rapporto “familiare” ipotizzabile in una dimensione realmente alternativa» (Cambria, 1976: 68). In questo senso, se si considerano i racconti di alcune Ragazze del sessantotto nel programma Rai di Cristiana e Riccardo Mastropietro e Giulio Testa, andato in onda tra 2017 e 2018, si scopre un’aderenza al pensiero di Cambria, laddove la differenza (parola che sarà cara, in Italia, al femminismo tra fine anni settanta e anni ottanta) è rappresentata proprio da una diversa lettura della maternità.4 È dunque un cambio di prospettiva a segnalare l’inversione di rotta. Sarà cruciale, di lì a pochi mesi,anche la sua posizione sul divorzio, in attesa del referendum per l’abrogazione delle legge del ’70:

Se una donna non è stata preparata ad altro, nella vita, se non al matrimonio, se le donne nel nostro paese hanno ancora infinitamente minori sbocchi occupazionali di quanti non ne abbiano gli uomini, non c’è da meravigliarsi se le spaventa l’ipotesi della rottura del matrimonio a cinquant’anni, poniamo, quando è impossibile per loro qualsiasi «riqualificazione» professionale, se mai ne hanno avuto una […]Nel matrimonio come garanzia di sopravvivenza per la donna, comunque, forse il valore di approvazione sociale ha un rilievo emergente perfino su quello della sicurezza economica (pagata del resto a caro prezzo dalla fatica diuturna della casalinga). E qui dovrebbe funzionare il meccanismo liberatorio, terapeutico, quasi, del divorzio, come fattore di autonomia della donna, nella misura in cui il matrimonio è uguale allo stadio elementare di subordinazione dell’individuo femmina. E proprio a scopo ‘terapeutico’, finché esiste la ‘carta‘ del matrimonio è indispensabile che esista anche la ‘carta‘ del divorzio. È la prova palpabile, concreta, perfino rituale, che un ‘amore‘ è finito per sempre: estinto. Che si può ricominciareda capo (Cambria, 1974).

Nell’articolo lei affrontava con acutezza il rapporto divorzio-separazione, evidenziando quali vantaggi una donna divorziata potesse esercitare – ad esempio il diritto di patria potestà sui figli – ma anche tutte le spinte retrograde di un paese cattolico che schermava un certo progresso. È chiaro che la posizione da cui partivaera iniziata con il femminismo e, a testimonianza di ciò, la citazione proposta mette in campo la libertà che le donne potevano conquistare scegliendo di appellarsi a questa legge.

Non sarà quella l’unica battaglia del mensile. Nel marzo del 1974, infatti, la rivista si allineava al manifesto di Lotta Femminista in favore del salario alle casalinghe, largamente dibattuto all’epoca.

La militanza di Cambria in quegli anni di EFFE si estese con la creazione di una rubrica dal titolo Un antifemminista al mese, tirando in ballo Federico Fellini (dicembre1973), Kissinger (febbraio 1974), Amintore Fanfani (marzo 1974) e Indro Montanelli (giugno 1974). Nel frattempo era uscito anche Dopo Didone, scritto tra il 1965 e il 1967.5Libro pionieristico e «prefemminista»,6 affrontava attraverso la poesia in prosa, la narrazione tra cronaca, mito e l’autobiografia, i temi sin ora proposti, con un ritorno al paragone del sé bambino con il sé adulto.

La figura della regina fenicia che si sarebbe uccisa sul rogo dopo l’abbandono di Enea, l’eroe del quale era innamorata, si presenta in primo piano come capovolgimento simbolico da sùbito invocato nel titolo. Il “dopo” è infatti il tramite femminista, il termine di scarto nel “coraggio” – parola che il movimento ha fatto propria e che Cambria pare incarnare – di essere, nell’assunzione di responsabilità che l’autrice in prima persona aveva impiegato nella vita, nel proprio lavoro e nel nucleo familiare costituito da lei eda i figli. In questa visione il sé, così come il sé della Didone da cancellare per riscriverne il mito, emerge con una forza in grado di contenere i limiti dell’esperienza. Non a caso Cambria dichiarerà che questo libro non poteva essere pubblicato prima dell’avvento del femminismo, cio è all’interno di un clima in cui incontrare le proprie simili a fare daspecchio e potersi con loro confrontare.

L’infanzia e l’età adulta tra Roma e un periodo londinese (nel 1966) si intrecciano quasi fino a fondersi:

Fino adulta mai un sentimento o idea di casa.

Il primo ricordo di avere abitato: una finestra a spranghe fitte marroni – nemici del sole – e il grido della quattro del pomeriggio. La venditrice di more.

Col cesto sopra la torre delle trecce, unte, e dopo, nel piatto, le more sanguigne, dinero sangue rapprese.

Incanti minimi, case senza favole ad oriente.

Il mare cintato di divieti. La casa meridionale è umiliazione del cuore. La sua infanzia aggrappata ai balconi: il freddo del davanzale a primavera, sotto l’ascella nuda. E le tempeste d’inverno, rocce d’ombra, bianche e verdi, e il pensiero, cresciuta, di sposare il guardiano del faro.

Cresciuta, aveva perso la memoria del faro. Ed altre ambizioni, invenzioni erano venute: fino al delirio incompiuto schizoide della casa.

LA CUPOLA E DUE CAMPANILI PRECISI NELLO SPAZIO ROMANO ARCHITETTONICO CIELO ED UNA TERRAZZA PER FESTE (Cambria, 1973: 78-79).

aveva riconosciuto, nella donna, la propria, ma peggio sfrenata, libidine meridionale: la voglia di nutrirsi al seme e al clamore delle disgrazie (Cambria,1973: 150)

Lo scontro tra il mondo borghese di provenienza e l’immersione femminista si esprimeva in un volume che era apparso anche come catartico, come un esperimento che anticipava le pratiche dell’autocoscienza o, per meglio dire, dava loro un assetto primordiale e segnalava quali fossero i confini entro cui la modalità poi scelta dai collettivi si sarebbe mossa; un libro audace nella forma e nella sostanza e non di facile ricezione, senza dubbio da rileggere e riscoprire.

Nel proseguimento della scrittura si ha un’intensa attività di drammaturga con il Teatro della Maddalena e in autonomia, che segna la sperimentazione di un terzo genere letterario; ad esempio, sono rilevanti le uscite di Nonostante Gramsci pubblicato da Sugar Co (con titolo di Lu Leone, rappresentato in prima nazionale al Teatro della Maddalena il 25 maggio 1975)7 e di In principio era Marx - La moglie e la fedele governante (Sugar Co 1978). Ci si avvicina, poi, a quello che Cambria stessa ha definito un tempo rapsodico tra fine anni settanta e anni ottanta-novanta, carico di pubblicazioni e partecipazioni ma anche di altre battaglie. Più o meno in concomitanza con l’uscita del suo romanzo Nudo di donna con rovine (Pellicano libri 1986) lei era infatti impegnata, insieme all’editore di Pellicano libri e poeta Beppe Costa e al poeta Dario Bellezza, in una raccolta firme (pubblicata su Il Giorno per il quale era tornata a lavorare) al fine dell’ottenimento della Legge Bacchelli a favore di Anna Maria Ortese (Trevisan, 2019),battaglia che andò a buon fine.

Il 1981 segnerà invece l’approdo a Quotidiano donna, il settimanale femminista diretto da Emanuela Moroli su cui intervenne anche Goliarda Sapienza (Trevisan,2018), probabilmente introdotta da Cambria. Quest’ultima si occuperà lì di temi civili– ancora l’aborto come “utopia”, dopo la recente approvazione della legge a favore e dell’arrivo di una pillola abortiva dalla Svezia – ma, soprattutto, si dedicherà ad alcune interviste importanti ad autrici: Amelia Rosselli sarà la prima di una breve serie; la poeta regalerà al giornale alcune poesie e pagine di Diario ottuso allora inedito.8 Si affacceranno poi i volti di Lina Mangiacapre, Luce d’Eramo, Ida Magli, della sociologa Agnes Heller, della filosofa Tatiana Goriceva, della pittrice Tatiana Mamanova e della scultrice Alice Gombazzi Maovaz. L’entrata in relazione con queste donne segnerà l’esperienza di un dialogo tra pari mettendo in luce la curiosità della giornalista che, rinunciando alla pura cronaca – del tutto estranea, nella sua ottica, al femminismo – si immergeva in uno scambio coerente e profondo tra voci non sempre in accordo.

Sono comunque il ritmo e la parola derivati dalla lettura del mondo in chiave femminista il fulcro di ogni articolo; ad esempio quello dedicato a Luce d’Eramo: lì la forza del contraddittorio risiede in un’analisi serrata dei motivi e dei personaggi del secondo romanzo dell’autrice, Nucleo zero, in cui pare impossibile ritrovare un tassello di quella «storia di emancipazione per eccesso e per errore» che era stato Deviazione (Cambria, 19812).

Vale la pena, tuttavia, tornare a un’intervista precedente a Dacia Maraini, che allora pubblicava Lettere a Marina (Bompiani 1981) «frutto del lavoro di cinque anni è una vasta riflessione sul femminismo, la politica, la maternità, l’amore fra donne» (Cambria,1981). Si veda un estratto:

Queste «Lettere a Marina» sono, io credo, il primo romanzo autobiografico della scrittrice che esordì giovanissima […] viene finalmente alla luce del sole il«femminismo». Ne parliamo insieme, le chiedo se è vera questa mia impressione. Dacia Sì, credo di sì… Prima, prima del femminismo, il privato poteva diventare materia poetica, letteraria, ma doveva essere trasformato, travisato, altrimenti non avrebbe avuto riconoscimento e dignità culturale, artistica. Col femminismo èstato possibile un’identificazione tra letteratura e vita, un viaggio all’interno, che io forse non avevo fatto prima, se non con le poesie… Poi col femminismo è cambiata è cambiata anche la mia vita, come è cambiata la vita di tante altre donne, la pratica di parlare di sé in maniera politica con le altre, mi ha slegato anche certi lacci, liberata da certe remore… È finito per me un certo modo di vedere la letteratura come separata, come esterna… […]

L’impressione è che l’amore tra due donne comporti gli stessi meccanismi crudeli di seduzione e rifiuto, finte fughe e abbandoni reali, che esistono nell’amore con un uomo… Si soffre insomma alla stessa maniera. Allora, ne vale la pena? Non è come dici tu, è diverso, anzi diversissimo: perché tutti questi giochi, anche crudeli, che secondo me fanno parte dell’amore, ed è giusto che ci siano, nel rapporto tra due donne si giocano alla pari: quello che ti frega, nel rapporto con l’uomo, è che oltre alle solite questioni della possessività, della gelosia, che ci sono sempre, anche tra donne, nel rapporto con l’uomo tu, donna, sconti una imparità secolare, una differenza di potere – lui ne ha storicamente di più, qualunque sia la disponibilità, la generosità nei tuoi confronti – che, comunque, ti frega….Ma non pensi che oggi questo problema del potere, sia pure in misura ridotta, si possa porre anche tra donne? Non so, una donna con una certa immagine pubblica e una ragazza che invece non ne ha alcuna…Sai, i rapporti tra le persone non sono mai schematici, sono sempre complicati, ci sono dentro tante cose… Poi bisogna anche vedere che cosa una chiede all’altra, le richieste, i bisogni… Per esempio la richiesta di maternità è molto forte tra le donne, persino nel gruppo… A me è spesso fatta questa richiesta di essere madre…Sarà per il mio carattere, tu mi conosci, piuttosto accogliente, ricettivo… Questa richiesta può essere a volte pesante… […]Chantal, chi è? È un personaggio ricostruito coi frammenti di più donne che davvero esistono, è la punta di diamante del femminismo, è lei che dice che fare l’amore con un uomo è un atto di intelligenza con il nemico… (Cambria 1981).

Nel quadro seppur sintetico riconsegnato da questo dialogo si fissano, ancora una volta, i temi prediletti da Cambria negli anni precedenti e successivi espressi, tuttavia, nell’ottica di Maraini, che non sempre incontra quella della giornalista e, anzi, spinge più in là il discorso. Il femminismo che qui si palesa è ancora quello del “primo impegno”, quello che «lo abbiamo creato noi quando abbiamo capito che le nostre non erano sfortune ma ingiustizie e discriminazioni che subivamo» (Cambria, 1997). È una sostanza che si elabora nel dire e, anche per questa ragione, ogni intervista o articolo monografico rappresentava un tassello di un disegno più grande, non calato nella dimensione letteraria e critica ma in grado di veicolare sempre il binomio impegno cultura.È la creazione di trame e dialoghi fra donne il fine del lavoro giornalistico qui proposto, affine alla produzione antecedente.

Date le dimissioni anche a Quotidiano donna il passaggio, di lì a qualche anno, fuquello a Minerva: l’altra metà dell’informazione (1986-1989), rivista diretta da Anna Maria Mammoliti in cui ritrova Emanuela Moroli e Grazia Centola, ad esempio. Gli articoli di Cambria (meno schierati dei precedenti) spaziavano dall’inchiesta su temi al femminile– la linea, la moda – a narrazioni più personali, ad esempio dedicate alla sua Calabriavista a distanza di anni con occhi rinnovati. Altri servizi scavavano a fondo, invece, nella cultura delle donne: si concentravano sui modelli prevalenti nel periodo indicato, sulla singletudine (tema ricorrente), sull’infanzia e sui rapporti madre-figli, sull’aborto (si parlava allora già di RU-486). L’indagine seguiva anche un fil rouge più storicoletterario: analizzava il mito in rapporto al femminile e prevedeva alcune interviste, approfondendo anche l’opera, tra altre, di Anna Maria Ortese. Leggendo il taglio che Cambria aveva scelto è quasi immediato il confronto con Anna del Bo Boffino, che scriveva in quegli anni per Amica e pubblicava volumi sulle questione femminile per Rizzoli. Ma è ancora Goliarda Sapienza ad affacciarsi nella redazione di Minerva sui nvito di Cambria; tra 1986 e 1987 pubblicherà alcuni articoli autobiografici riflettendo sull’educazione ricevuta, sulle conquiste delle donne, narrando la sua vicenda sulla Transiberiana di fine anni settanta, presentandosi dunque come giornalista militante (Trevisan, 2019). In una pagina critica, recensiva il romanzo Nudo di donna con rovine scrivendo: «è la cronistoria di Lucrezia, che per tutta la vita ha lottato per un’idea: il femminismo, e che si trova nella maturità a scoprire di aver commesso – proprioin nome del suo credo applicato con troppo rigore – tanti di quegli errori da essere sul punto di perdere la propria ideologia e con essa l’identità» (Sapienza, 1986).Questa prova letteraria di Cambria, a ben vedere, problematizza il suo rapporto con le contraddizioni del femminismo e, soprattutto, con quanto aveva vissuto lei in prima persona negli anni rapsodici che coincidono con l’approdo alla rivista sopraccitata. Si tratta di una posizione amicale e laterale che crea una nuova lettura dell’oggetto di questo saggio, e lo fa spostando lo sguardo in una diversa direzione come Sapienza sapeva fare: del tutto esterna dai “poteri costituiti e dalle ideologie”.

Tra anni ’80 e ’90, comunque, vi sarà un ritorno all’incontro tutto al femminile, ristretto a poche personalità che si occupavano di letteratura: si tratta del “Gruppo di scrittura” informale fortemente voluto da Elena Gianini Belotti e assiduamente frequentato da Cambria stessa, Goliarda Sapienza, Simona Weller, Lucia Drudi Demby,9 Clara Sereni, Laura Lilli e altre autrici. Un momento, quello, che fa presagire la necessità non di fare autocoscienza – che molte autrici praticavano fuori – ma di riflettere sulla scrittura come strumento di conoscenza imprescindibile per aprirsi al mondo, comprenderlo e – se possibile – dargli forma.

Facendo un passo indietro, in questa sede è d’interesse citare un passaggio che riguarda l’esperienza di Minerva da parte dell’intervistata. Cambria, infatti, apparve in un articolo a cura di Patrizia Macciocchi, la quale faceva i conti con anni di femminismo in occasione dell’imminente “8 marzo”; le voci intervistate furono: la senatrice Elena Marinucci, Tina Anselmi, Margherita Hack e Beatrice Medi.

Ecco il testo di Adele Cambria che, ancora una volta con decisione e lucidità, corrobora la necessità di una presa di posizione da parte delle donne nel sistema italiano, unendo la riflessione femminista e politica pubblica alla dimensione privata e familiare, partendo dalla realtà (l’allora Commissione Parità Uomo-Donna) in un tempo segnato dall’edonismo:

8 marzo 1990. Prima riflessione: non sarà che da una “emarginazione collettiva taciuta” quale era quella che la donna subiva fino all’esplosione del neofemminismo (1970) specie negli ambienti della sinistra – dove si sosteneva che la parità uomo donna era stata già ampiamente raggiunta – si sia, oggi, in questo preciso momento storico, passati ad una “superiorità (femminile) praticamente e collettivamente negata nei fatti”, pur sbandierando, a parole, la grande qualità dell’apporto delle donne in qualsiasi professione o attività sociale?Voglio dire, tra il Cinquanta e il Sessanta alle poche donne “emancipate” che protestavano per i pochi ghettizzati spazi che riuscivano a conquistarsi nelle professioni e, ancora più difficile, nella politica, si rispondeva, specie da partedella sinistra, che parità già c’era (!) e quindi si tendeva a nascondere, a tacere, l’emarginazione persistente; oggi, invece, tutti inneggiano alla bravura delle donne– si laureano più in fretta e con migliori voti, sono ottime magistrate, giornaliste, sindachesse, eccetera eccetera – tutti (o quasi) sono disposti a riconoscerne la superiorità in diversi campi ma, di fatto, il potere continua a restare in mano ai “meno bravi”, cioè agli uomini. Seconda riflessione: nei remoti anni Cinquanta (ma il trend anche in questo caso è durato fino al Settanta) quando le donne si univano tra loro a parlare, l’osservazione benevola-sprezzante che su questi incontri facevano gli uomini era: “Chiacchieredi donne, parlano di moda e bambini…”. Oggi, ahimè, comincia a serpeggiare di nuovo l’attributo sprezzante “chiacchiera” rivolto alla parola femminile, ma il tono, tutt’altro che benevolo, anzi saturo di antipatia e d’allarme, si esprime in frasicome questa: “Chiacchiere di donne, parlano di differenza sessuale e potere…”.Come dire: si tende a svilire, a ridurre a “chiacchiera” la nuova sapienza delle donne, elaborata in venti e più anni di libera ricerca, e tradotta ormai nella pratica più svariata: per fare soltanto un esempio, il rifiuto della “casalinghità” come missione o prova d’amore che ha attraversato tutto il popolo delle donne, trovando addirittura schierate in prima fila le cattoliche; oppure, secondo esempio, recentissimo, la forte richiesta da parte delle studentesse che occupano in questi mesi le Facoltà universitarie, di non usare un linguaggio sessista in assemblea.

L’individuazione di una condizione subalterna delle donne portata avanti da molte altre (giornaliste e non solo) impegnate nella causa femminista durante l’arco dellavita è qui riassunta a ridosso dell’inizio di un nuovo decennio, in cui la presenza della donna nei media costituisce la principale o quasi l’unica forma di esposizione del sesso femminile al pubblico. La posizione di Cambria mantiene alta l’attenzione sul problema della partecipazione delle donne in vari campi della vita ma anche segnala lo svilimento culturale dei cosiddetti luoghi comuni che queste devono subire. Prosegue poi in questi termini:

Se queste due prime riflessioni celebrano l’8 marzo del Novanta con un certo “pessimismo della ragione” (citazione gramsciana che mi rifiuto di considerare fuori moda), c’è anche da dire un’altra cosa: e cioè che i sintomi negativi prima accennati sono caratteristici degli ambienti “misti” ancora ad unica direzione ed egemonia maschile (istituzioni, partiti, imprese, redazioni di giornali, eccetera), mentre nei pochi luoghi in cui le donne sono riuscite a dominare non individualmente ma proprio come genere sessuato femminile, la situazione è molto più incoraggiante. Esempio: l’ultima riunione della Commissione Parità Uomo-Donna che, com’è noto, è oggi preceduta da una democristiana, l’onorevole Tina Anselmi. Ecco, questo avvenimento ha dato la misura di quanto si sia accresciuta da parte delle donne fino a pochi anni fa “digiune” di femminismo lafame di conoscenza rispetto alle elaborazioni di teoria, sociologia e antropologia femminista. Forse noi femministe storiche le sapevamo già (o meglio le avevamo intuite, ma ci mancavano le prove) molte delle cose dette in questa circostanza da Chiara Saraceno, nella relazione svolta, di fronte ad un centinaio di donne delle più diverse aree culturali e politiche [...] era una bella soddisfazione vedere la responsabile del Movimento Femminile della DC, Maria Paola Colombo Svevo, prendere diligenti appunti sulle motivazioni reali profonde della crescita zero in Italia: “Non è vero – diceva Chiara – che le donne vogliono andare tutte in vacanza alle Seychelles, è vero che le italiane si sono fermate nel far figli perché non avevano idee chiare, e non potevano averle, su quali valori trasmettergli; mentre ora che un poco di ‘nuova scienza e sapienza’ proprio come noi l’abbiamo accumulata, possiamo ricominciare a farli sia pure sempre con misura, come dimostra il piccolo boom delle nascite registrato all’inizio del 1989…”.O anche (sempre per sottolineare, assumendo a “simbolo” la dirigente democristiana) l’impatto dell’elaborazione femminista sulle donne di diversa cultura. [...] Saraceno: “Non è ideologia ma esperienza acquisita quella che fa dire alle madri casalinghe, rivolgendosi alle figlie ventenni ‘Ragazza mia, prima di tutto preoccupati di avere un lavoro, perché non si sa mai’” “E in quel ‘non si amai...’, concludeva Saraceno, “c’è la raggiunta consapevolezza che la famiglia, per una donna, non è più una assicurazione a vita, che è la donna stessa, se appena le sue condizioni economiche glielo consentono, a chiedere separazione e divorzio quando le cose non vanno, infine che il lavoro e perciò il danaro proprio danno autonomia rispetto al mondo esterno, e potere e capacità contrattuale all’interno della famiglia”.Rapida conclusione: un augurio per l’8 marzo del Novanta? La costruzione di un grande, allegro e perché no? autoironico Partito Trasversale delle Donne (PTDD per chi ama le sigle…) (Macciocchi, 1990).

In quest’articolo Cambria sceglie una forma di inclusione che possa portare al centro del discorso la sociologia e la politica ma anche una forma di desiderio dialettico fattivo tipico del discorso femminista, con slanci di riflessione che cercano nuove forme d’appartenenza e l’invenzione di tipologie di partecipazione diverse ma possibili.

Quanto affrontato sinora attesta un impegno su più fronti da parte di Adele Cambria, la quale negli anni Novanta si spingerà a collaborare anche con l’Unità e, più oltre, con Il Riformista, diventando una penna richiesta e longeva. Il suo trascorso da femminista storica affiora a ogni appuntamento civile, resistendo al tempo e ai mutamenti, mostrando una coerenza di pensiero necessaria e parlante.

L’esigenza d’espressione la condurrà ben presto a Noi Donne, storica rivista italiana fondata nel 1944; in redazione, tra le altre, Bia Sarasini e Roberta Tatafiore. Ed è lìche pubblicherà un articolo incentrato sull’eredità femminista per le generazioni future: «Il problema doloroso, o addirittura lacerante, per noi che ci riconosciamo nel femminismo, è che molte giovani donne brandiscono la volgarità della propria immagine come arma per conquistare il successo. Equivocando sull’autonomia della donna, finiscono col respingerla all’identica “parte per il tutto” che è nella radicata tradizione del voyeurismo maschile» (Cambria, 1995). E, riferendosi all’attrice Sharon Stone e al successo del film Basic instinct (1992) si chiede “da vecchia signora”: «E seavessimo avuto torto noi, incominciando dall’ottima Elena Gianini Belotti di Dalla parte delle bambine, a denunciare le esortazioni a “stare composte” che hanno ossessionato le nostre antiche infanzie?» (Cambria, 1995). Il rimando allo storico testo del 1973 declina un esempio di messa in discussione ma, soprattutto, pare anticipare il fenomeno del femminismo massmediatico – la Stone fu definita “emancipata” dal governo franceseall’epoca – denunciato più di recente da Jessa Crispin in Perché non sono femminista (SUR 2018). In altri termini: con i suoi interrogativi Cambria torna di continuo alla radice delle problematiche che investono la vita delle donne, e lo fa con intelligenza –parola chiave con cui Lidia Ravera ha identificato il suo sessantotto e l’inizio della sua esperienza nel femminismo –10; si tratta dell’intelligenza di una Didone che oltre passai limiti e parla: una donna che resta dalla parte delle donne e che sceglie l’autonomia fuori dallo sguardo maschile (nell’articolo del ’95) e nella costruzione della famiglia (come rivela l’analisi sempre attenta della sociologa e filosofa Chiara Saraceno). Maitentando di semplificare ma accentuando la propria prospettiva impegnata alla luce di nuove battaglie da affrontare, Cambria sceglie acutamente il taglio, talvolta l’asimmetria talvolta l’affiancamento alla direzione vigente: lo fa cercando nella prospettiva del personaggio letterario (da cui questo contributo trae il titolo), con un linguaggio talvolta tagliente, la cifra del proprio dire, l’anti-destino, la costruzione delsuo stesso essere e la radicalizzazione della propria partecipazione pubblica.

Una poesia inserita nel volume collettaneo del 1976 e intitolata I giorni della madrerecita così:

Ho parlato (un comizio)

nella piazza del Duomo

di Reggio.

Tu chiusa dentro,

in casa,

sigillata serravi,

tra le mani,

inerme, implume, tremenda

la vergogna ormai pubblica

(il comizio)

di una figlia come me.

Ti ho fatto violenza

quel giorno, ed altri.

Vivendo ti faccio violenza

quotidiana

io donna

tu donna.

Ho ricordato i capelli

che mi arricciavi col ferro

il giorno della Prima Comunione

(élitaria)

nella cappella del vescovo

e il vestito

il tuo

di crèpe e merletto

sulle rotonde braccia bianche ed il sole

negli occhi, come ora.

Scendevamo le scale della Chiesa

(Duomo, Matrice, imitazione

d’un gotico romanico improbabile

nella città che rifiuta

di conoscersi

come tu rifiuti).

Ed ho parlato

di politica ovviamente

di te

probabilmente

di me.(Cambria, 1976)

Rivelando il nesso con il prima – e, in questo caso, con il materno anche – si può affermare che Adele Cambria sia stata un’attenta osservatrice, partecipatrice eispiratrice del femminismo italiano, che l’abbia rappresentato con tenacia nel proprio lavoro di giornalista nei diversi decenni e che abbia indicato nelle pratiche interne al femminismo alcune conoscenze da riconsegnare all’oggi e al futuro delle donne. Le sue scelte in ogni campo lo testimoniano: il distacco familiare dal sud negli anni cinquanta; la costruzione di una famiglia completata in solitudine e prima del divorzio; le lottein prima linea su temi d’impegno; l’adesione a sistemi di pensiero condivisi eppure autonomi – anche nelle forme letterarie indicate –; l’indipendenza e il distacco agiti sempre nel confronto-scontro con le istituzioni.

Come una Didone rinnovata, ovvero esterna al solo sguardo maschile – e conscia di esserlo per propria scelta – Cambria si è battuta con slancio per acquisire e indicare alle donne pratiche di emancipazione, per costruire una figura di donna oltre-didonica ossia libera da vincoli rigidi di ruolo, affrancata dal sistema e dal potere. Il modello che ha tramandato e la forza del suo pensiero portano oggi a conoscere una figura forse meno rivoluzionaria e iconica di altre intellettuali militanti nell’ambito culturale italiano, eppure singolare e unica, da indagare.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Cambria, A., Dopo Didone, Roma, Cooperativa prove 10, 1973.

Cambria, A., Colombo, D., “aborto: non lo fo per piacer mio. La posizione di effe”, EFFE, novembre 19732.

Cambria, A., “salario alle casalinghe”, EFFE, marzo 1974.

Cambria, A., “sarà imperfetto ma deve sopravvivere”, EFFE, aprile 1974.

Cambria, A., in AA. VV., La parola elettorale, Roma, Edizioni delle donne, 1976.

Cambria, A., “Le confidenze si fanno romanzo”, Quotidiano donna, 17 aprile 1981.

Cambria, A., “Ragionieri della lotta armata o eroi romantici”, Quotidiano donna, 18 ottobre 19812.

Cambria, A., “Ma la rivoluzione è un’altra”, Noi Donne, aprile 1993.

Cambria, A., “La volgarità e la dea”, Noi Donne, dicembre 1995.

Cambria, A., “senza femminismo mi sarei suicidata”, Marzullo, G. (a cura di), Sottovoce, Rai, 1997.

Crispin, J., Perché non sono femminista, Roma, SUR, 2018.

Macciocchi, P., “E le donne invece…”, 8 Marzo: qualche novità, Minerva: l’altra metà dell’informazione, 3 marzo 1990.

Righi, A., “Non ci sono risposte compagno Gramsci... non ancora alle tue domande. ”Soggettività e differenza sessuale: un dialogo tra Adele Cambria e Antonio Gramsci, Carte Italiane, 2 (4), 2008.

Sapienza, G., “Viva la seconda giovinezza!”, A. Cambria, G. Della Giusta, M. Ferrari Occhionero, F. Nocerino, M. Zongoli (a cura di), 50 anni: la tappa del top?, Minerva: l’altra metà dell’informazione, 4 (1/2), gennaio-febbraio 1987.

Trevisan, A., “Goliarda Sapienza atipica “giornalista militante”, ITALIANISTICA DEBRECENIENSIS, 24 (2018), pp. 198-214.

Trevisan, A., “«Bisogna che ci vogliamo un po’ bene». Anna Maria Ortese e la casa editrice Pellicano libri di Beppe Costa, con un carteggio d’autrice”, DEP.DEPORTATE, ESULI, PROFUGHE, 39 (2019), pp. 15-30.

Nota

1. Si veda l’estratto con Camilla Cederna e Oriana Fallaci al link <https://www.youtube.com/watch?v=dIeg3WcX3_8>.
2. A tal proposito si ascolti l’intervista di Pino La face del 2008 suggerita nella sitografia, in cui Cambria anticipa i contenuti della biografia che stava per pubblicare per Donzelli. All’epoca lei lavorava per L’Europeo.
3. L’archivio digitalizzato è disponibile online a quest’indirizzo: <http://efferivistafemminista.it/cerca/>.
4. Pur non avevo lo spazio per approfondire la comparazione con il programma, si legga quanto ha affermato Lidia Ravera nella puntata n. 2 del 14 gennaio 2018: «La maternità non è un obbligo, adesso è ovvio; negli anni Settanta nonera ovvio. Il tuo desiderio di maternità doveva sempre lottare con il fatto che tu non volevi essere condizionata a diventare madre, con il fatto che tutto il mondo voleva che tu diventassi madre, cioè compissi il tuo dovere biologico. Quindi scoprirlo era una cosa conflittuale.» Il suo punto di vista risulta in linea con quello di Cambria, del tutto interno al tempo del vissuto.
5. Dal punto di vita filologico, la datazione varia a seconda del rimando della stessa autrice. Nell’introduzione al testo si indicano gli estremi “estate 1966 e autunno 1967” mentre in La parola elettorale del ’76 ha dichiarato la temporalità 1966-1968. Nella biografia ha dichiarato che una prima parte era già stata scritta nell’ottobre del 1959, dopo la nascita del primo figlio.
6. Così lo qualificava lei su «Paese Sera» del 30 giugno 1974, in un articolo a firma di Elisabetta Rasy.
7. È prezioso, per l’analisi, il contributo di Andrea Righi (2008).
8. Si vedano i link <https://poetarumsilva.com/2019/02/11/amelia-rosselli-adele-cambria-intervista/> e <https://poetarumsilva.com/2018/09/29/prosabato-da-diario-ottuso-di-amelia-rosselli/>.
9. Si veda la scheda biografica online redatta all’indirizzo: <http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/luciadrudi-demby/>
10. Ancora una volta nella puntata citata de Le ragazze del sessantotto.

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