Abstract: This contribution aims, through a study of the works of the Lutheran theologian J. Moltmann, to make a contribution to the field of Trinitarian anthropology, which has been developing in recent years. Starting from the Moltmannian Trinity, whose contribution is indisputable for the theology of our century, the article highlights its reflection in the author's theological anthropology. It thus highlights the Trinitarian rhythm of the relationship between person and human community; the principle of solidarity between people, which finds its ultimate foundation in the pneumatological-trinitarian communion; and a new definition of the human person, which has in the divine Hypostasis its prototype, and, in the Pneuma, its constitution. In this way, the article highlights the singular contribution, especially in its pneumatological-trinitarian dimension, that Moltmann makes to the anthropology outlined in a Trinitarian key.
Keywords: Trinity,Holy Spirit,perichoresis,indwelling hypostasis,communion.
Resumen: Esta contribución pretende, a través del estudio de las obras del teólogo luterano J. Moltmann, hacer una aportación al campo de la antropología trinitaria, que se está desarrollando en los últimos años. Partiendo de la Trinidad moltmanniana, cuyo aporte es indiscutible para la teología de nuestro siglo, el artículo pone en luz su reflejo en la antropología teológica del autor. Destaca así el ritmo trinitario de la relación entre persona y comunidad humana; el principio de solidaridad entre los hombres, que encuentra su fundamento último en la comunión pneumatológica-trinitaria; y una nueva definición de la persona humana, que tiene en la Hipóstasis divina su prototipo, y, en el Pneuma, su constitución. De este modo, el artículo pone de relieve la singular contribución, especialmente en su dimensión pneumatológico-trinitaria, que Moltmann hace a la antropología esbozada en clave trinitaria.
Palabras clave: Trinidad, Espíritu Santo, Pericóresis, Hipóstasis habitable, Comunión.
Artículos
L’antropologia pneumatico-trinitaria di J. Moltmann
Received: 06 June 2022
Accepted: 09 August 2022
«Se noi oggi intendiamo la persona come un’esistenza propria, insostituibile ed irrinunciabile, lo dobbiamo appunto alla dottrina trinitaria del cristianesimo. Ma perché con pari vigore non si è elaborato pure il concetto di pericoresi, di unificazione e comunione tra le persone? L’estinguersi di una dottrina trinitaria evoluta in chiave sociale in Occidente ha favorito lo sviluppo dell’individualismo e specialmente dell’‘individualismo possessivo’: ciascun uomo deve realizzare ‘se stesso’, ma chi realizza la comunione? ».[1]
L’interrogativo moltmanniano rivolto contro la teologia trinitaria occidentale, colpevole, a suo avviso, di non essersi sviluppata attraverso il punto di vista sociale e di aver delineato e giustificato così una concezione individualizzata dell’uomo, che ha probabilmente condotto a quella moderna soggettività, secondo cui i rapporti sociali, che collegano gli uomini fra loro, sono ridotti a bisogni reciproci,[2] apre davanti ai nostri occhi una pista di studio nel pensiero del teologo luterano.[3] A riguardo l’autore afferma ancora: «l’antropologia e la teologia sono sempre in rapporto d’interazione, per cui, assieme al monoteismo occidentale proprio del concetto di Dio, dovremo superare il suo corrispettivo dell’individualismo dell’antropologia».[4] Viene a porsi, dunque, la domanda: quale concetto non solo di comunione antropologica, ma propriamente di persona umana deriva dalla dottrina trinitaria sociale moltmanniana? Secondo il teologo di Tubinga, partendo dalla Trinità, come si può rispondere alla domanda: Chi è l’uomo?.[5] La risposta a tale questione ci permetterà di recuperare quello che, a nostro parere, può essere il contributo di Moltmann allo studio dell’antropologia trinitaria,[6] che si sta sviluppando in questi ultimi anni. L’articolo, partendo dalle critiche che l’Autore pone alla trinitaria occidentale e alla corrispondente analogia individuale, cerca di esporre successivamente la sua dottrina trinitaria, esaminando infine il riflesso di questa sulla sua antropologia, di cui il teologo non ha uno scritto sistematico. Dalla Trinità all’uomo, dall’Alto al basso suddivideremo il nostro studio in due fondamentali momenti: quello trinitario e quello antropologico, che, come vedremo, verranno a intersecarsi fra loro.
«Generalizzando potremmo dire che in Occidente il teismo monarchico, per quanto riguarda il concetto di Dio, ha portato all’individualismo in antropologia».[7] La critica moltmanniana fa riferimento primariamente alla teologia dell’imago di Agostino e Tommaso, che svilupparono il loro discorso partendo dall’unità trinitaria in Dio, esaltando in questo modo «il soggetto umano di intelletto e volontà».[8] La posizione di Agostino e Tommaso, riguardo la dignità dell’anima ad imago Dei pone, scrive il teologo, in secondo piano tutto ciò che riguarda la corporeità e i sensi, perciò anche le relazioni umane, che sono considerate così solo vestigia Dei. Tutto questo condurrà, aggiunge il Nostro, a «conseguenze notevoli e tragiche»[9] nell’antropologia occidentale. La critica rivolta da Moltmann alle posizioni di Agostino e Tommaso fa riferimento principalmente al problema della dignità del corpo, sottomesso all’anima asessuata, ma anche a quello della dignità della donna, subordinata all’uomo.[10] La critica verso l’analogia individuale occidentale è rivolta dal teologo luterano anche ai contemporanei Barth e Rahner, i quali considerano l’unità del Dio uno e trino a partire dalla soggettività e sovranità della signoria di Dio e pensano Padre, Figlio e Spirito Santo come tre modi di essere in Dio (Barth)[11] o come tre distinti modi di sussistenza (Rahner),[12] così che per entrambi sarà l’unico soggetto identico a rivelarsi (Barth) o ad autocomunicarsi (Rahner).[13] Questo sacrificio delle relazioni interpersonali, scrive Moltmann in riferimento al teologo cattolico, si ripercuote antropologicamente: «A quel Dio che si comunica sotto un triplice aspetto corrisponde l’uomo che si mette a disposizione, si trascende, ma ripiegato su se stesso e solo».[14]
La soluzione moltmanniana sarà differente. Allontanandosi dall’Occidente, l’Autore impronterà la sua teologia dell’imago sull’analogia sociale, riprendendo la teologia ortodossa,[15] rifacendosi a Gregorio di Nazianzo e alla sua analogia familiare, la quale riscontrava l’immagine della Trinità non nell’individuo a se stante, ma nella famiglia di Adamo, Eva e Set.[16] Secondo il Luterano, «gli esseri umani sono imago trinitatis, e soltanto unificandosi tra loro mostrano di corrispondere al Dio Uno-Trino».[17] Esaminiamo di seguito la teologia trinitaria dell’Autore per poi coglierne le ripercussioni di questa sulla sua antropologia, mettendo in evidenza il contributo che l’Autore può dare all’antropologia trinitaria.
Un’ulteriore critica, quella rivolta al monoteismo cristiano che ha cercato l’unità della Trinità mediante concetti filosofici, non rispondendo alle testimonianze bibiliche,[18] conduce Moltmann a pensare la Trinità attraverso altri termini. Allontanandosi dalla tradizione occidentale, egli parte dalla trinità delle persone e si interroga poi sull’unità, pensa Dio in termini di relazioni e inabitazioni,[19] così come il Nuovo Testamento rivela: «nella testimonianza neotestamentaria chi compare è Gesù, ‘il Figlio’. La sua storia ha origine da una cooperazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo. È la storia delle relazioni vitali, perché reciproche e trasformanti, fra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo».[20] La storia di Gesù di Nazareth, infatti, attesta il Nostro, non si può intendere escludendo la sua relazionalità con il Padre e l’agire dello Spirito. Scrive:
«la storia ‘interiore’ o ‘teologica’ di Gesù è la storia del Figlio con suo Padre. Non è la storia di un uomo con Dio. In relazione a Dio, Gesù si comprese come ‘Figlio’. La rivelazione di Dio-Abba dominò il suo rapporto con Dio come improntò pure l’annuncio che egli ha fatto di Dio agli uomini».[21]
E ancora: «Battesimo, vocazione, predicazione e attività di Gesù si svolgono tutti mediante lo Spirito e nello Spirito».[22] Sulla croce poi siamo dinanzi non solo ad una persona della Trinità, ma ad un avvenimento che coinvolge tutte tre le Persone, manifestazione di Chi è il Dio dei cristiani, manifestazione della Trinità intera.[23] In conformità a ciò che viene dalla Sacra Scrittura, dunque, non si trova né il concetto di sostanza né quello di soggetto identico, perciò Moltmann introduce nella sua trinitaria l’unico concetto rimasto, quello, cioè, di unificazione tra le persone o unificazione del Dio Tri-uno: «soltanto il concetto di unificazione esprime infatti una unità comunicabile e aperta».[24] Una nozione che presuppone un’autodifferenziazione personale: solo, infatti, le persone possono essere unificate. Si tratta di una visione trinitaria che coglie insieme personalità e socialità: «in virtù della loro personalità, il Padre, il Figlio e lo Spirito non sono soltanto fra loro distinti ma anche fra loro uniti, dato che personalità e socialità rappresentano semplicemente due aspetti della stessa realtà».[25] Non vi è più, secondo tale concezione, la necessità di garantire l’unità in Dio attraverso lo storico concetto di sostanza né mediante la dottrina della signoria di Dio;[26] ora il concetto di unità «non potrà essere dunque situato nell’omogeneità dell’unica sostanza divina, come nemmeno nell’ipseità del soggetto assoluto, ma neppure in una delle tre persone della Trinità».[27] L’unificazione della Trinità-Unità si ritrova nella comunione, nella pericoresi delle persone divine, poiché tale dottrina congiunge «Trinità e Unità, senza ridurre la Trinità all’Unità e senza dissolvere l’Unità nella Trinità».[28] Nella pericoresi tutto ciò che distingue le persone le congiunge, si tratta di un processo vitale:
«il Padre esiste nel Figlio, il Figlio nel Padre ed entrambi nello Spirito, come lo Spirito esiste nell’uno e nell’altro. Essi vivono gli uni negli altri ed abitano così insieme in virtù dell’amore eterno che li fa essere una sola cosa. È un processo di empatia perfetta e la più intensa».[29]
È fondamentale, quindi, per il teologo riconoscere le reciproche inabitazioni delle persone divine per comprendere «la loro comunione trinitaria ed il loro singolare essere divino».[30] Facciamo solo cenno qui al fatto che per il nostro teologo quest’unificazione trinitaria è soteriologicamente ed escatologicamente aperta. Riprendendo la preghiera di Gesù, riportata nel vangelo di Giovanni 17, 21 («Perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola…»), Moltmann afferma che la Trinità si congiunge con la creazione intera e diventa in essa un’unica cosa,[31] e questo, come vedremo successivamente, mediante il ruolo dello Spirito Santo.
Seguendo il nostro percorso, vogliamo ora domandarci innanzi tutto: quale idea di Ipostasi trinitaria deriva dal recupero moltmanniano dell’antica dottrina della circumincessio? Per l’Autore la nozione di persona divina presuppone già il concetto di unità, come quello di unità/unificazione implica quello delle tre Ipostasi.[32] Le Persone non sono più riducibili a “modi d’essere” dell’unico soggetto divino, ma esse «costituiscono le loro differenze come la propria Unità».[33] Si tratta di un concetto di Persone che è trinitario, afferma il teologo tedesco, in cui non solo le persone sussistono come tali nell’essenza comune, ma esistono nelle relazioni con le altre, vivendo sempre nelle e mediante le altre.[34] Le tre Ipostasi sono differenti fra loro, dunque, non solo per via delle relazioni reciproche, come San Tommaso insegna, ma anche per via della loro personalità.[35] Non è possibile dire che la persona è relazione, perché se il Padre è determinato al Figlio mediante la paternità, questo «non costituisce ma suppone la sua esistenza».[36] Vi sono due prospettive che Moltmann mette in evidenza come fra loro ben distinte, ma che costituiscono la stessa realtà: «le persone trinitarie sussistono nella comune natura divina, ma esistono nelle loro reciproche relazioni».[37] Altrove il teologo precisa che
«stando alla dottrina trinitaria del cristianesimo, le tre divine Persone esistono l’una con le altre, per le altre e nelle altre. Ed esistono l’una nelle altre perché si concedono vicendevolmente spazio per svilupparsi in tutta pienezza. Esistono l’una nelle altre, esse costituiscono appunto la loro tipica comunità trinitaria, come sostiene la dottrina dell’immanenza ed in-existentia trinitaria: intima et perfecta inhabitatio unius personae in aliis».[38]
Vi è moto e quiete nello stesso tempo, poiché ogni persona si muove nelle altre, che le consentano vitalità: «il Padre giunge a sé nel Figlio e nello Spirito, il Figlio nel Padre e nello Spirito, lo Spirito nel Figlio e nel Padre: le tre ex-tasi trinitarie»[39]. Ne deriva un concetto di persona divina più ampio: riprendendo l’approccio ortodosso di Verna Harrison,[40] Moltmann sostiene che si dovrà parlare, oltre che di tre persone divine, anche di tre spazi trinitari, poiché «ciascuna persona è, per le altre, persona che si lascia abitare e che al tempo stesso si concede».[41]
Da questa dottrina trinitaria che pensa per relazioni e comunioni, il teologo della speranza riflette su tutto il resto: sul rapporto dell’uomo con Dio, dell’uomo con gli altri uomini, con tutto il genere umano, e dell’uomo con l’intera creazione.[42] Approfondiamo ora il riflesso della Trinità sull’uomo in relazione.
La dottrina della pericoresi ha ripercussione «nella dottrina di un essere umano fatto ad immagine di Dio».[43] Il racconto creazionista di Gen 1, 26.27, rivela, secondo Moltmann, sia l’essere trinitario di Dio che l’essere comunionale dell’uomo. «Facciamo gli uomini a nostra immagine – a nostra somiglianza» (Gen 1, 26). L’Autore sostiene prima di tutto che la figura singolare di Dio (una immagine) deve corrispondere al plurale interno di Dio (facciamo). Prendendo poi in considerazione il versetto successivo in cui leggiamo che «Dio creò l’uomo come maschio e femmina» (Gen 1, 27), il teologo asserisce che è il plurale umano (maschio e femmina) che deve trovare corrispondenza nel singolare divino (Dio).[44] In definitiva, Dio che decide è un plurale al singolare, mentre la sua immagine in terra è un singolare al plurale, per questo «a quel Dio uno che si differenzia in se stesso e si unifica con se stesso risponde allora una comunione di uomini, femmine e maschi, che si congiungono e divengono un’unica cosa».[45] La differenziazione sessuale e la reciprocità della relazione fra sessi connota l’uomo nel suo essere imago: l’uomo «fin dall’inizio è un essere sessualmente differenziato e destinato ad una vita di comunione»,[46] proprio in questa comunione può essere vissuta l’immagine di Dio, mai nella solitudine:
«Fin dall’inizio l’uomo è dunque un essere sociale, riferito alla collettività umana e sostanzialmente bisognoso di aiuto (Gn. 2, 18). L’uomo è un essere socievole, che sviluppa la propria personalità soltanto in comunione con altri. Di conseguenza egli può rapportarsi a se stesso solo se e nella misura in cui gli altri con lui si rapportano. L’individuo isolato ed il soggetto solitario sono modi deficienti di essere umano, perché manca in essi l’imago Dei. Non c’è una qualche priorità della persona sulla comunità, ma persona e comunità sono le due facce dell’unico e medesimo processo vitale».[47]
Ogni esistenza umana, dunque, è contrassegnata da ciò che il teologo di Tubinga chiama triangolo antropologico, cioè dal fatto che ogni essere umano «è uomo o donna e figlio dei propri genitori».[48] Si tratta di due relazioni fondamentali che lo caratterizzano: quella di ‘uomo-donna’, che indica la socialità, e quella ‘genitori-figli’, che indica la generatività.[49] Entrambe sono ugualmente ineliminabili, anche se «prima viene la comunione sessuale contemporanea nello spazio, poi la comunione tra le diverse generazioni nel tempo».[50] È proprio in questa vita sociale e generazionale che viene a riproporsi la pericoresi e comunione trinitaria, la quale si preferisce, afferma il Luterano, all’assunzione di un duale in Dio, che riproporrebbe in terra un’immagine bisessuale dell’uomo. Ciò che l’imago Trinitatis esprime sulla terra è «il piano delle relazioni che vigono all’interno della Trinità, non la costituzione trinitaria. Come le tre persone trinitarie sono in modo affatto singolare un’unica cosa, allo stesso modo gli esseri umani sono imago Trinitatis nella loro comunione personale».[51] Chiaramente Moltmann sostiene che
«l’analogon dell’imago Dei sta nella relazione differenziata, o nella differenza relazionale che nel Dio Uno e Trino è la ragione della vita eterna del Padre, del Figlio e dello Spirito, e che negli uomini determina la vita temporale di femmina e maschi, di genitori e figli».[52]
La comunione fra gli uomini corrisponde, dunque, alla forma di vita divina, escludendo la possibilità di una corrispondenza di ogni Persona divina con una persona umana: gli uomini insieme sono immagine della Trinità nella comunione, «non è che uno rappresenterebbe il Padre, un altro il Figlio ed un terzo lo Spirito Santo».[53] Ogni singolo uomo, invece, è configurato all’immagine del Figlio, e, a differenza di quanto sostiene Agostino, non è figura della Trinità intera.[54] Ritroviamo in Moltmann un concetto di persona umana analogo a quello di persona divina. Infatti, il teologo di Tubinga parla, di esseri contemporaneamente abitanti e abitati, di esistenze comprese come in-esistenze. A dimostrazione della sua tesi, Moltmann utilizza l’esperienza paradigmatica della mamma e del bambino: io esisto negli altri e gli altri esistono in me, «come mostra l’esempio della madre che diventa il mondo corporeo e vitale del bambino che le cresce nel grembo».[55] Lo spazio dell’altro è lo spazio esistenziale di ciascuno, «l’esperienza che noi facciamo dello spazio è l’esperienza dell’essere-in-sé-nell’altro. Si può esistere soltanto nell’altro, dato che nulla di ciò che c’è nel mondo può esistere da sé»:[56] questo è ciò che afferma l’Autore sostenendo l’analisi che Heidegger descrive nel suo Dasein.[57] Gli altri, di cui siamo responsabili, prosegue il Luterano, esistono in noi e ciò è verificabile anche da ciò che la nostra fede ci trasmette: Cristo si è sacrificato per noi e anche noi siamo in Cristo. Viene a delinearsi così la figura di un essere umano che, oltre ad essere in-esistente, è anche pro-esistente: «noi siamo sempre negli altri ed agli altri aperti, come gli altri sono in noi e disponibili nei nostri confronti».[58] In questa partecipazione di altri e verso altri, l’uomo può relazionarsi a se stesso,[59] può diventare persona: «un individuo è un ultimo indivisibile, mentre una persona nasce da partecipazione e comunicazione di altri uomini, nasce quindi nella comunione».[60] L’esempio che Moltmann utilizza è quello di un bambino, che può crescere e vivere sano solo in un’atmosfera di accettazione, altrimenti si atrofizzerà psichicamente e deteriorerà fisicamente.[61] L’io umano moltmanniano non si configura solo nell’essere relazionale così come ha affermato per le Ipostasi divine. Moltmann, criticando l’egemonia dell’individuo scisso da un lato e dall’altro l’autodissolvimento dell’io debole nelle relazioni, pensa personalità e socialità insieme: «le persone sorgono nelle relazioni e queste derivano dalle persone».[62] Per l’Autore non bisogna contrapporre il «sé che fluisce nelle relazioni e l’io che si concentra nell’autonomia», poiché «la vita umana pulsa in entrambi i movimenti e non può irrigidirsi in uno soltanto».[63] Questo moto di unificazione e di autonomia si manifesta in ciò che Moltmann chiama amore e libertà, poiché «l’amore crea ciò che è comune, la libertà dischiude lo spazio in cui ciascuno può muoversi secondo le proprie caratteristiche (…) Privo di libertà, l’amore reprime la varietà di ciò che è individuale, ma senza amore la libertà distrugge ciò che è comune e unificante».[64] Dobbiamo precisare però che per il teologo questa esperienza sociale “nasconde” l’esperienza di Dio:[65] quando incontriamo l’altro incontriamo Dio, «noi sperimentiamo l’amore di Dio nell’amore, con l’amore e come amore di altri uomini».[66] Più precisamente sperimentiamo la comunione dello Spirito Santo «sia come amore che unifica, sia come libertà che consente a ciascuno/a e ad ogni cosa di giungere a se stesso/a nella propria specificità».[67] Cosa significa questo dal punto di vista antropologico? Approfondiamo maggiormente quella che potremmo chiamare l’antropologia pneumatica del nostro Autore.
La comunione umana resta lontana imago di quella trinitaria, la quale rimane «singolare e incomparabile», poiché nei nostri rapporti noi solo la cerchiamo e solo possiamo intravederla nell’amore reciproco.[68] Cosa porta gli uomini ad una comunione maggiormente somigliante? Scrive il teologo: «nella ‘comunione dello Spirito Santo’ la comunione umana risponde a quella comunione così singolare e incomparabile che esiste tra il Padre, il Figlio e lo Spirito».[69] Per approfondire quest’aspetto della teologia della similitudo dobbiamo andare a fondo nella comprensione dell’autore luterano riguardo il rapporto dell’essere umano con il suo Creatore.
Unificazione è il concetto che Moltmann impiega anche per distinguere e congiungere uomo e Dio, presupponendo come sfondo una visione “aperta” della Trinità, scaturita dal sacrificio della croce, che congiungendo il Figlio al Padre ‘per mezzo dello Spirito’ nel momento del più profondo abbandono, avvolge in esso tutti gli uomini.[70] Si tratta della manifestazione della Trinità come triplicità dell’amore che cerca l’uomo inserendolo nelle proprie relazioni, come Adrienne von Speyr, citata dal Nostro, conferma: «“Il rapporto delle persone divine tra di loro è così vasto, che il mondo intero vi trova spazio”».[71] Punto cardine della nozione moltmanniana di unificazione è la terza Persona divina, la quale
«glorifica Cristo in noi e noi in Cristo in onore di Dio Padre. Provocando questo, lo Spirito Santo unifica noi e il creato con il Figlio e con il Padre, nello stesso modo in cui unifica lo stesso Figlio col Padre. Lo Spirito è il legame della comunione e la forza della unificazione».[72]
Si tratta non solo di un’unità degli uomini con la Trinità, ma di una concezione escatologica di unità in Dio che suppone l’unificazione degli uomini con Dio nello Spirito: «la storia dello Spirito che unisce uomo e creato col Figlio e col Padre è perciò orientata alla completa unità del Figlio col Padre».[73] È un Dio quello di Moltmann che «non vuole avere pace senza la nuova creazione di uomo e mondo attraverso lo Spirito Santo. Dio non vuole unificarsi con se stesso senza l’unificazione di tutte le cose con lui».[74] Vi è un’ulteriore pericoresi che non unisce «non soltanto persone diverse della medesima natura, ma anche persone di nature diverse».[75] Mediante lo Spirito l’umanità entra nel tempo e nell’éschaton non solo in comunione con Dio, ma nella comunione di Dio, ed eccone la ripercussione sull’antropologia comunionale: «l’unificazione della Trinità divina è aperta ad una creazione intera che con la stessa Trinità e nella stessa Trinità si unifica».[76] L’umanità si unifica nella Trinità per mezzo dello Spirito, così che -scrive il Nostro - «possiamo cantare nell’inno: “Colui che è Tre in Uno, in Lui ci fa unica cosa” (EKG 218, 7)».[77] Siamo dinanzi a quella che potremmo chiamare una comunione pneumatico-trinitaria, che lo stesso Autore chiarifica essere una ‘comunione dello Spirito’ che non rafforza né l’individualismo né il collettivismo, ma che «riproduce la Tri-Unità di Dio e la sua comunione nelle distinte relazioni personali».[78] Secondo quest’orizzonte la personalità e la socialità scaturiranno insieme dallo Spirito e si rapporteranno fra loro in termini di complementarietà:[79] «‘nella comunione dello Spirito Santo’ non dominano gli individui sulla comunità, né la comunità sugli individui».[80] Nello Spirito si stabilisce una comunità di generazioni e una comunità di donne e uomini: lo Spirito travalica i tempi, afferma Moltmann, per cui non è contemplabile una comunità che preferisce associarsi al simile (fanciulli con giovani, uomini con anziani), lo Spirito è uno solo e molte sono le sue energie (charìsmata) che investono beneficando, in egual modo, uomini e donne,[81] per cui «l’essere-donna diventa un carisma, come l’essere-uomo diventa un carisma»,[82] presupposto che condurrà Moltmann a schierarsi con la teologia femminista e l’ordinazione di uomini e donne al ‘ministero spirituale’. Lo Spirito riempie l’intero popolo[83] senza disuguaglianze, ma anche senza uniformità: vi è una unità della comunità, ma anche una varietà di carismi:
«tutti i membri della comunità messianica hanno ricevuto i doni dello Spirito e sono quindi ‘titolari del ministero’. Non esiste alcuna separazione fra titolari del ministero e popolo (…). Esistono invece delle differenze di tipo funzionale, perché l’uguaglianza qui non va confusa con l’uniformità».[84]
Il teologo tedesco fa riferimento qui alla ‘comunione dello Spirito’ che si attua nella Chiesa e che si realizzerà escatologicamente nella comunità umana,[85] la comunione che si ritrova originariamente nell’esperienza dei primi cristiani, quella cioè
«che la comunità fa delle barriere, altrimenti insormontabili, di natura sociale, religiosa e naturale: nello Spirito giudei e pagani, greci e barbari, padroni e servi, uomini e donne diventano un’unica cosa (Gal. 3,2), cioè “un cuor solo e un’anima sola”, ed hanno “tutto in comune” (At. 4, 31-35)».[86]
Si tratta dell’esperienza della comunità, ma anche dell’esperienza «dell’individuazione della propria chiamata e dei doni dello Spirito: a ciascuno il suo. Molti sono i doni dello Spirito, ma uno solo è lo Spirito (1 Cor. 12)».[87] Questa comunità ecclesiale unita “nello Spirito” non è un’unità chiusa, ma aperta.[88] Per Moltmann la Chiesa partecipa all’unificazione degli uomini fra loro,[89] essa è unità unificante: deve tendere all’unità, «l’unico popolo dell’unico regno deve creare unità fra gli uomini».[90] Dall’esperienza dello Spirito Santo che la comunità primitiva vive, Moltmann cerca di risalire alla «presenza e al modo in cui opera lo ‘Spirito’ nel creato»,[91] affermando esserne il principio olistico che «crea interazioni, consonanze in queste interazioni, pericoresi reciproche e quindi anche una vita cooperativistica e comunitaria»,[92] e il principio di individuazione. Si tratta dello Spirito Creatore (distinto da quello Santificatore) che per Moltmann è «il respiro vitale divino, che con la sua vita riempie ogni cosa»,[93] è Colui mediante il Quale il Creatore stesso è presente nella Sua creazione, le è immanente,[94] la compenetra, concedendogli spazio, tempo e libertà nella sua vita trinitaria.[95] Vi è, secondo l’Autore, un agire dello Spirito nella socializzazione delle creature:[96]
«È proprio questo divino soffio a riempire l’universo ed a garantire la coesione (cfr. Sap 1, 7; Is 34, 16). Tutti vengono chiamati all’esistenza da questo respiro vitale, che loro consente di vivere in una comunione creaturale aperta alla vita […] Spirito della vita qui sono soprattutto quelle connessioni vitali che legano fra loro le creature (M. Welker). Tutti sono riferiti agli altri, tutti vivono per gli altri, spesso anche intimamente, simbioticamente tra loro intrecciati. Come lo Spirito della creazione, così anche lo Spirito della ri-creazione stabilisce dei rapporti di comunione sia tra gli esseri umani come anche tra uomini e gli altri viventi».[97]
Da questa concezione cosmica dello Spirito, il teologo risale ad una concezione antropologica dello spirito nell’uomo.[98] Quando Moltmann fa riferimento allo spirito pensa alla totalità psicosomatica dell’essere umano, che è spirito riflettente e riflesso.[99] Se Dio Spirito «è ‘la divinità comune’ che unifica gli esseri umani in una vita più elevata, e che in questa sfera di comunione li specifica di nuovo come individui», lo spirito umano è « ‘spirito comune’ che vivifica tutti (…) e che imprime ad ogni persona umana la sua figura e le dà il diritto di essere se stessa»,[100] in cui socializzazione e individualizzazione sono le due facce della stessa medaglia. Lo spirito è designato da Moltmann come comunicazione intendendo con ciò la struttura umana come comunionale: «la vita umana è riferita alla comunicazione naturale e sociale, ed esiste soltanto in essa. Vita è relazione. Vita è scambio».[101] Secondo l’Autore lo spirito nell’uomo, che abbiamo detto essere spirito riflettente e riflesso, penetrato dallo Spirito Creatore, dovrà giungere alla coscienza di Questi, affinché diventi coscienza sociale: «se nella coscienza umana lo Spirito che crea la vita giunge alla coscienza di se stesso, allora la coscienza non isola gli uomini dal loro mondo di vita ma introduce questo stesso mondo in nuovi rapporti di comunione».[102] Il soggetto solitario e l’individuo isolato, invece, afferma Moltmann, sono «modi deficienti di essere umano, perché manca in essi l’imago Dei».[103] Prima di tutto è necessario chiarire che il teologo luterano definisce l’immagine come il rapporto di Dio con l’uomo, sostenendo che «Dio si pone con l’uomo in un rapporto nel quale l’uomo stesso è a sua immagine». A partire da ciò si ritiene che l’immagine non può essere distrutta con il peccato, poiché questi non può «distruggere il rapporto di Dio con l’uomo».[104] Nella natura dell’immagine esiste, però, l’altra faccia, quella cioè del rapporto degli uomini con Dio, della risposta umana, che con il peccato è stato pervertito, ma non perso. Cosa vuol dire? L’Autore ritiene che la relazione con Dio resta, ma si stravolge diventando «idolatria, la fede in Dio superstizione, l’amore di Dio egoismo, angoscia e odio».[105] L’imago nell’uomo resta, scrive il teologo riprendendo Flacio, come imago Satanae o imago mammonis[106] e, in quest’uomo lo Spirito Santo resta come presenza kenotica.[107] Solo la sofferenza vicaria e il sacrificio di Cristo sulla croce infonderanno speranza all’homo incurvatus in se, al narciso innamorato di se stesso aprendolo a Dio e al mondo, dandogli la forza di amare l’altro,[108] è nella comunione che si stabilisce fra Cristo e i fedeli che avviene il ripristino e la ri-creazione dell’immagine di Dio.[109] Cristo rende capace l’uomo di aprirsi alla sofferenza e all’amore, facendo cadere le barriere della sua apatia,[110] anche mediante il dono dello Spirito Santo, il Santificatore, per la cui effusione Cristo è venuto al mondo.[111] Il pathos esprime proprio un tratto del Dio trinitario nell’uomo.
Ci limitiamo, alla fine della nostra ricerca, a considerare alcuni punti deboli e altri promettenti che sono emersi dalla nostra sistematizzazione dell’antropologia trinitaria del teologo della speranza.
L’immagine della Trinità in Moltmann viene a riflettersi prima di tutto sul rapporto uomo-donna,[112] riducendo, così, a nostro parere, l’imago al piano prettamente cosmico. Il triangolo antropologico uomo-donna-bambino, così come il Nostro lo chiama, si ritrova anche nel mondo animale, ma gli esseri creati, a differenza degli uomini, non sono portatori dell’immagine. Distanziandoci da Moltmann, siamo dell’opinione, seguendo la posizione di Balthasar, che il rapporto naturale di uomo-donna viene a collocarsi sul piano della dissomiglianza con Dio, mentre sia la donazione reciproca fra i due soggetti a rivelarne l’immagine.[113] Collocandoci in questa visione, riteniamo che, nell’antropologia trinitaria dell’autore, ciò che manifesti compiutamente l’imago Trinitatis sia il concetto di ipostasi pericoretica, colto nella prospettiva dell’in-esistenza e pro-esistenza, cioè dell’ homo sympatheticus, capace di uscire da sé, di morire a se stesso per partecipare della vita dell’altro. Certo, quando si parla di una dottrina sociale della Trinità, come il teologo stesso definisce la sua, il pericolo di partire dalle relazioni umane riproiettandole in Dio, per poi riflettere antropologicamente è grande,[114] ma egli sembra evitarlo, poiché è basandosi sul fondamento scritturistico che propone il modello trinitario pericoretico, il quale si rispecchia poi nella sua antropologia. La proposta di Moltmann circa l’unità di Dio riferita alla comunione pericoretica, radicalmente incentrata sulla relazionalità,[115] va incontro però ad un altro pericolo, quello, cioè, di mettere a rischio la nozione di persona pensata come sola relazionalità, causando un conseguente disequilibrio in ambito antropologico teologico.[116] Tale difficoltà non può non farci considerare come il concetto di pericoresi moltmanniano, associato all’antropologia, debba tener presente sempre la maior dissimilitudo dell’analogia. Moltmann precisa anche la necessità di distinguere fra loro i concetti di persona e relazione quando esamina le singole ipostasi, ma questa distinzione, che sul piano antropologico fa evitare il dissolvimento della persona nella relazionalità, portata sul piano trinitario rischia quel triteismo che l’autore vuole evitare proprio attraverso la Trinità pericoretica.[117] Qui l’analogia sociale moltmanniana incontra, a nostro giudizio, quelle incongruenze e difficoltà, da cui sfuggiva l’analogia psicologica (tanto criticata dal luterano), la quale assicurava l’unità dell’essenza e la diversità delle persone divine riflesse nell’anima con le sue potenze spirituali.[118]
Al di là di queste problematicità, crediamo che un apporto rilevante di Moltmann all’antropologia trinitaria sia quello pneumatologico: ogni esistenza umana, che si presenta come in-existentia, e la mutua inabitazione, che ne costituisce la solidarietà, trova le sue radici nello Spirito che abita ciascuno e tutti. Singolarità e comunionalità di ogni spirito umano (quindi varietà e unità della comunità umana) derivano, secondo il teologo di Tubinga, proprio dallo Spirito della creazione, che penetra ogni uomo. Le persone umane quali ipostasi abitabili, ri-create poi dallo Spirito Santo Santificatore, manifestano non solo l’imago, ma anche una maggiore somiglianza con le Persone trinitarie, essendo fra loro unificate tramite la terza Persona divina, nella e con la stessa Trinità, che si rivela essere, nell’antropologia moltmanniana, la base ultima della comunione antropologica. È lo Spirito, in definitiva, a inscrivere nell’uomo, sin dalla prima creazione, il suo carattere pericoretico e a fondamentare la solidarietà umana. Siamo davanti ad un vero contributo di antropologia pneumatologica, di cui non incontriamo attualmente molti studi, ma che probabilmente si ritrova carente di un completamento cristologico.
Certo la figura di Cristo come fondamento e prototipo dell’uomo creato, non è assente nella teologia moltmanniana. Nei suoi brevi scritti specificatamente antropologici, il teologo sottolinea come, diversamente dalle antropologie che si fondano sulle autointerpretazioni della vita e della società,[119] sia il Crocifisso la figura attraverso cui si giunge alla conoscenza di Dio e alla conoscenza dell’uomo stesso.[120] L’imago Christi, infatti, esplicita Moltmann, è una «imago Dei mediata da Cristo»,[121] che è il primogenito a cui i fedeli vengono configurati. La cristologia, per Moltmann, è il termine medio fra l’antropologia e la trinitaria: «in quanto figura di Dio, gli esseri umani sono la figura della Trinità intera, poiché vengono configurati all’immagine del Figlio».[122] Il tema però, pur presente nella teologia del nostro autore, non si rivela determinante per l’elaborazione di un’antropologia trinitaria che sia anche marcatamente cristologica,[123] in quanto la sua cristologia, in realtà, sembra essere maggiormente sbilanciata sulle relazioni di Cristo con le altre due persone divine più che con gli uomini,[124] mettendo in evidenza più il suo essere chiave interpretativa della Trinità che dell’uomo. Ci sembra interessante, però, mettere in rilievo un’intuizione dell’autore che potrebbe aprire piste di ricerca nel campo teologico. Si tratta di un’intuizione che, se fosse stata approfondita e dispiegata fino alle sue conseguenze antropologiche, avrebbe consolidato la sua visione dell’uomo attraverso una prospettiva non solo pneumatica, ma anche cristologica, essendo Cristo Verbo incarnato a mettere in luce il mistero dell’uomo (GS 22). Nella cristologia in dimensioni messianiche, il teologo fa riferimento al Gesù terreno costituito persona sociale mediante lo Spirito Santo,[125] un’affermazione che poche volte espone e che, a nostro parere, nasconde in sé quell’antropologia pneumatologica che abbiamo mostrato essere così determinante nella sua teologia, ma che necessita di un fondamento biblico e cristologico, che non incontriamo a largo delle sue opere. Fra gli autori che si sono avvicinati al tema ritroviamo Zizioulas, il quale, basandosi sulla Scrittura, partendo dal concepimento di Cristo dallo Spirito giungerà ad affermare l’identità cristologica come costitutivamente pneumatologica[126] e, per questo, comunionale. Secondo l’ortodosso, in quanto lo Spirito è comunionale, la nascita del Cristo da lui lo costituisce automaticamente come essere relazionale:
«L’Esprit est un Esprit de “communion” et son œuvre première consiste à ouvrir la réalité pour qu’elle devienne relationnelle. L’Esprit est incompatible avec l’individualisme. Parce qu’il est né de l’Esprit est inconcevable comme individu; il devient automatiquement un être relationnel».[127]
In ultimo, allargando il nostro sguardo dall’antropologia alla teologia della creazione vogliamo solo fare breve cenno all’attualità del pensiero di Moltmann. Secondo l’autore, lo Spirito, inabitando tutta la creazione, permette quella connessione “pericoretica” fra l’uomo e la natura tanto auspicato dalla Laudato sì di Papa Francesco, il cui pensiero converge con quello del nostro teologo, laddove il pontefice cita i vescovi brasiliani, i quali «hanno messo in rilievo che tutta la natura, oltre a manifestare Dio, è luogo della sua presenza. In ogni creatura abita il suo Spirito vivificante che ci chiama a una relazione con Lui» (Laudato sì, 88). Il contributo pneumatologico, a riguardo, si mostra, dunque, promettente per ulteriori approfondimenti anche nell’ambito dell’attuale